Intel, alle prese con la ristrutturazione di modello di business,sta pensando di fare marcia indietro sul maxi-investimento di Magdeburgo, annunciato come il più grande insediamento straniero nella storia della Germania
«La produzione di semiconduttori a Magdeburgo è il più grande investimento diretto estero nella storia del nostro Paese», lo definì con queste parole entusiastiche appena un anno e mezzo fa il Cancelliere tedesco Olaf Scholz. La Germania aveva attratto un investimento dell’americana Intel, colosso dei microchip, spuntandola sull’Italia, e ciò avrebbe mosso un’articolata filiera centrata sull’innovazione di processo in un segmento ad altissima innovazione tecnologica come quello dei semiconduttori, i cervelloni di tutti i nostri dispositivi elettronici su cui l’Europa è ancora dipendente dall’Asia. Sui microchip — necessari per l’elettronica, l’automazione industriale, l’automotive, l’intelligenza artificiale, gli apparati tlc, il cloud — consumiamo il 18% della domanda globale producendo l’8%.
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La centralità di Taiwan
A Taiwan si concentrano le fonderie che producono conto-terzi i microprocessori disegnati altrove. Uno scenario globale amplificato dal progresso tecnologico trainato dal 5G che si serve di chip per i nuovi apparati di telecomunicazione. Il vizio originario sta tutto nel deflagrare della pandemianel 2020 in cui le proiezioni di vendite da parte delle case automobilistiche erano più prudenziali rispetto a ciò che poi si è effettivamente verificato sul mercato. Ciò ha finito per spostare i volumi e la domanda di semiconduttori, che storicamente incide sull’auto soltanto per il 10% del fatturato.
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I soldi europei del Chips Act
L’investimento americano in Germania veniva attratto anche dal Chips Act promulgato dall’Ue, che proprio per stimolare l’autosufficienza tecnologica del Vecchio Continente ha provato negli ultimi anni a colmare un grosso ritardo accumulato dai primi anni ‘90 quando i chip servivano solo per l’elettronica. L’industria preferì concentrarsi sul design più che sulla produzione. Negli ultimi anni Cina e sud-est asiatico (in testa Taiwan) hanno sussidiato questa filiera creando un ecosistema che solo l’americana Intel è in grado di reggere. Manca un vero campione europeo ma la giga-factory che Intel stava aprendo in Germania sembrava un’avvisaglia importante di inversione di tendenza.
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La crisi di modello
Ora circolano indiscrezioni in senso opposto sui media internazionali. Che Intel - pressata dalla crisi del suo modello di business - stia pensando di fare marcia indietro smontando il maxi-investimento tedesco. Intel è alle prese con una ristrutturazione di modello di business che prevede un taglio del personale del 15% alla ricerca di risparmi per 10 miliardi di dollari. E la cura dimagrante dovrebbe essere già pronta in vista della prossima seduta del consiglio di amministrazione, prevista tra un paio di settimane, rivela l’agenzia Reuters. Il ceo di Intel, Pat Gelsinger, e il top management del gruppo starebbero pensando anche all'accantonamento della super factory. Peccato perché era previsto anche un supporto governativo che includeva incentivi pari a 9,9 miliardi.Intel aveva acquisito il terreno per gli impianti a novembre del 2022 e si prevedeva che la prima fabbrica sarebbe entrata in funzione nel 2026-2027.
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3 settembre 2024
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